"Quando il bambino era bambino era l'epoca di queste domande: "Perché io sono io e perché non sei tu?..La vita sotto il sole è forse solo un sogno? Non è solo l'apparenza di un mondo davanti al mondo quello che vedo, sento e odoro? C'è veramente il male e gente veramente cattiva? Come può essere che io che sono io non c'ero prima di diventare? E che una volta io che sono io non sarò più quello che sono?"
Difficile descrivere un film come Il cielo sopra Berlino.
La pellicola è una cadenzata successione di immagini e pensieri che come una lunga poesia, ti entra dentro e scolpisce qualcosa in te, ti si aggrappa.
Nella Berlino di inizio anni '80, ancora divisa dal muro, gli angeli osservano la città e i suoi abitanti: ascoltano i loro pensieri e cercano di confortarli poggiando una mano sulla loro spalla.
Solo i bambini riescono a vederli, in nessun altro modo possono interagire con il mondo terreno.
Non possono apprezzare i colori, vedono tutto in bianco e nero, non riescono del tutto a comprendere i comportamenti umani, ma ne sono affascinati.
Damiel (Bruno Gantz) e Cassiel (Otto Sander) sono gli angeli su cui si incentra la storia.
Cassiel, angelo silente, riflessivo, pago della sua condizione, annota su un taccuino le attività e i pensieri umani che più lo colpiscono e li racconta, meravigliato, all'amico.
Damiel, invece, sente il peso della sua eternità, della sua incapacità di sentire dolore o altre sensazioni umane, del suo non stupirsi più di niente.
Un giorno, errando per la città, si imbatte in un circo e rimane incantato dall'affascinante trapezista Marion (Solveig Dommartin), una donna molto sola che alterna momenti malinconici a momenti di improvvisa felicità.
Segue tutti i suoi movimenti al circo, per le strade, ai concerti di Nick Cave, se ne innamora ed entra nei suoi sogni.
Cassiel, invece, viene incuriosito da un uomo anziano, Omero (Curt Bois), che riflette sulla mancanza di epos, sulla mancanza di un cantore della società di cui l'umanità ha bisogno e che vaga alla ricerca della Potsdamer Platz, un tempo (prima della Seconda Guerra Mondiale) il posto più frequentato di Berlino, ora un cumulo di macerie in un campo desolato.
I due angeli seguono insieme un'altra vicenda: stanno girando un giallo ambientato durante il Nazismo, il cui osannato protagonista è Peter Faulk, il Tenente Colombo - nella parte di se stesso.
Faulk disegna furtivamente i volti dei colleghi, rimane affascinato dalle linee e dalle particolarità dei loro volti e, durante una pausa caffè, si rivolge inaspettatamente a Damien dicendo che gli piacerebbe vederlo, gli piacerebbe parlare con il suo "compagnero".
Damien è ora più che mai deciso a diventare umano e, mentre esprime allo scettico Cassiel tutto quello che potrà fare una volta umano, viene illuminato da una luce divina che esaudisce il suo desiderio.
Per la prima volta sperimenta il dolore, quando la sua armatura da angelo gli piomba in testa, vede i colori, prova stupore, assaggia il caffè e si dirige da Peter che quando lo vede gli rivela di essere anch'egli un angelo che ha deciso di diventare mortale.
Ora riesce a comprendere gli uomini e finalmente potrà stringere l'amata, di cui si mette alla ricerca.
Anche Marion lo sta cercando, sa che l'uomo che ha sognato sarà l'uomo della sua vita.
Wim Wenders crea un'opera fatta di altissime venature liriche e una potenza evocativa straordinaria.
Surreale e metafisico cattura l'immaginazione dello spettatore e ne eleva lo spirito.
Il film racchiude diverse riflessioni: l'incomunicabilità tra uomini, la condizione dell'uomo che dopo la seconda guerra mondiale ha perso la sua dimensione epica, smarrendo la sua identità, si è ammalato. Può l'uomo dopo gli orrori commessi, tornare a guardare il mondo in modo puro, con gli occhi di un bambino?
Le parole che ricorrono, come un'ossessionante filastrocca, scandendo tutto il film "Quando il bambino era bambino" sono la chiave di lettura della poetica del film.
Difficile descrivere un film come Il cielo sopra Berlino.
La pellicola è una cadenzata successione di immagini e pensieri che come una lunga poesia, ti entra dentro e scolpisce qualcosa in te, ti si aggrappa.
Nella Berlino di inizio anni '80, ancora divisa dal muro, gli angeli osservano la città e i suoi abitanti: ascoltano i loro pensieri e cercano di confortarli poggiando una mano sulla loro spalla.
Solo i bambini riescono a vederli, in nessun altro modo possono interagire con il mondo terreno.
Non possono apprezzare i colori, vedono tutto in bianco e nero, non riescono del tutto a comprendere i comportamenti umani, ma ne sono affascinati.
Damiel (Bruno Gantz) e Cassiel (Otto Sander) sono gli angeli su cui si incentra la storia.
Cassiel, angelo silente, riflessivo, pago della sua condizione, annota su un taccuino le attività e i pensieri umani che più lo colpiscono e li racconta, meravigliato, all'amico.
Damiel, invece, sente il peso della sua eternità, della sua incapacità di sentire dolore o altre sensazioni umane, del suo non stupirsi più di niente.
Un giorno, errando per la città, si imbatte in un circo e rimane incantato dall'affascinante trapezista Marion (Solveig Dommartin), una donna molto sola che alterna momenti malinconici a momenti di improvvisa felicità.
Segue tutti i suoi movimenti al circo, per le strade, ai concerti di Nick Cave, se ne innamora ed entra nei suoi sogni.
Cassiel, invece, viene incuriosito da un uomo anziano, Omero (Curt Bois), che riflette sulla mancanza di epos, sulla mancanza di un cantore della società di cui l'umanità ha bisogno e che vaga alla ricerca della Potsdamer Platz, un tempo (prima della Seconda Guerra Mondiale) il posto più frequentato di Berlino, ora un cumulo di macerie in un campo desolato.
I due angeli seguono insieme un'altra vicenda: stanno girando un giallo ambientato durante il Nazismo, il cui osannato protagonista è Peter Faulk, il Tenente Colombo - nella parte di se stesso.
Faulk disegna furtivamente i volti dei colleghi, rimane affascinato dalle linee e dalle particolarità dei loro volti e, durante una pausa caffè, si rivolge inaspettatamente a Damien dicendo che gli piacerebbe vederlo, gli piacerebbe parlare con il suo "compagnero".
Damien è ora più che mai deciso a diventare umano e, mentre esprime allo scettico Cassiel tutto quello che potrà fare una volta umano, viene illuminato da una luce divina che esaudisce il suo desiderio.
Per la prima volta sperimenta il dolore, quando la sua armatura da angelo gli piomba in testa, vede i colori, prova stupore, assaggia il caffè e si dirige da Peter che quando lo vede gli rivela di essere anch'egli un angelo che ha deciso di diventare mortale.
Ora riesce a comprendere gli uomini e finalmente potrà stringere l'amata, di cui si mette alla ricerca.
Anche Marion lo sta cercando, sa che l'uomo che ha sognato sarà l'uomo della sua vita.
Wim Wenders crea un'opera fatta di altissime venature liriche e una potenza evocativa straordinaria.
Surreale e metafisico cattura l'immaginazione dello spettatore e ne eleva lo spirito.
Il film racchiude diverse riflessioni: l'incomunicabilità tra uomini, la condizione dell'uomo che dopo la seconda guerra mondiale ha perso la sua dimensione epica, smarrendo la sua identità, si è ammalato. Può l'uomo dopo gli orrori commessi, tornare a guardare il mondo in modo puro, con gli occhi di un bambino?
Le parole che ricorrono, come un'ossessionante filastrocca, scandendo tutto il film "Quando il bambino era bambino" sono la chiave di lettura della poetica del film.
La stessa ambientazione è evocativa: le macerie di Berlino rappresentano in pieno la morte, lo scempio provocato dagli uomini, il muro che divide la città rappresenta la paralisi comunicativa tra gli uomini e la divisione tra l'incorrotto mondo celeste e il degradante mondo terreno.
Gli angeli sono esseri perfetti, l'opposto dei mortali, ma a Damiel la perfezione non basta, come non basterebbe all'uomo se l'avesse, pur desiderandola.
Damiel vuole sperimentare l'umanità effimera ma pulsante di emozioni turbinose, in questo Wenders da valore alla fragilità umana, all'imperfezione che diviene qualcosa che addirittura un angelo desidera.
Il regista esalta la condizione imperfetta che l'uomo vive e ci mostra uno spiraglio di luce sulla capacità degli uomini di ritrovare l'identità perduta e lo stupore infantile.
Le poesie di Rainer Maria Rilke hanno influenzato questo film che segnò il ritorno di Wenders in Germania, dopo una lunga parentesi Statunitense.
Il regista ammise di non avere un vero copione quando iniziò le riprese e che molto fu dovuto all'improvvisazione del momento. Per esempio, il personaggio di Peter Faulk non era previsto originariamente, ma Damiel aveva bisogno di un ex-angelo per poter fare il grande passo verso l'umanità.
"City of Angels", del 1998, in cui Nicolas Cage interpreta l'angelo che diventa umano per amore di Meg Ryan, è il tentativo mal riuscito di un remake che ha cercato di attirare una più ampia fetta di pubblico abbandonando i toni corali dell'originale, snaturandolo e facendone uscire una mera copia sbiadita.
Trailer:
Frasi del film:
- Quando il bambino era bambino, | se ne andava a braccia appese, | voleva che il ruscello fosse un fiume, | il fiume un torrente, | e questa pozza, il mare. || Quando il bambino era bambino, | non sapeva di essere un bambino, | per lui tutto aveva un'anima | e tutte le anime erano un tutt'uno. || Quando il bambino era bambino, | su niente aveva un'opinione, | non aveva abitudini, | sedeva spesso a gambe incrociate, | e di colpo sgusciava via, | aveva una vortice tra i capelli | e non faceva facce da fotografo.|| Quando il bambino era bambino,| era l'epoca di queste domande:| "Perché io sono io e perché non sei tu?| Perché sono qui e perché non sono li?| Quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio?| La vita sotto il sole è forse solo un sogno?| Non è solo l'apparenza di un mondo davanti al mondo quello che vedo, sento e odoro?| C'è veramente il male e gente veramente cattiva?| Come può essere che io che sono io non c'ero prima di diventare?| E che una volta io che sono io non sarò più quello che sono?"
- Il tempo guarirà tutto. Ma che succede se il tempo stesso è una malattia? come se qualche volta ci si dovesse chinare per vivere ancora. Vivere, basta uno sguardo. È buffo non sento niente. È la fine e non sento niente. Devo disabituarmi ad avere cattiva coscienza quando non sento niente, come se il dolore non avesse un passato. Tutta la gente che ho conosciuto che resta e resterà nella mia memoria – finisce sempre quando sta per cominciare, era troppo bello per essere vero, finalmente fuori in città. chi sono io? chi sono diventata? la maggior parte del tempo sono troppo cosciente per essere triste. Ho aspettato un eternità che qualcuno mi dicesse una parola affettuosa; poi sono andata all'estero, qualcuno che dicesse 'Oggi ti amo tanto' come sarebbe bello, devo solo alzare la testa e il mondo sempre davanti ai miei occhi mi sale nel cuore. Quando ero bambina volevo vivere su un isola, una donna sola, potentemente sola. Sì, è così .. è tutto così vuoto, slegato, il vuoto, l'angoscia, l'angoscia, l'angoscia come un animaletto che si è perso nel bosco. Chi sei tu, non lo so più. (Marion)
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