"Ti voglio fare una domanda: qual'è la scommessa più grossa che hai perso a testa o croce?"
Texas, anni '80. Unico superstite di un regolamento di conti tra narcotrafficanti in cui si imbatte per caso, Llewelyn Moss (Josh Brolin) si trova in possesso di una valigetta contenente un'ingente somma di denaro.
La decisione di portarla con sé segna la discesa in un vortice di angoscia e violenza. Sulle sue tracce lo spietato killer Anton Chigurh (Javier Bardem) - a cui piace uccidere con l'aria compressa- e l'inadeguato sceriffo, prossimo alla pensione, Ed Tom Bell (Tommy Lee Jones).
Quattro statuette agli Oscar 2008 per questo cult che è riuscito a scalzare il bellissimo Petroliere: miglior film, miglior regia, miglior attore non protagonista e miglior sceneggiatura non originale.
Feroce, cinico, nichilista, No Country for Old Men propone sullo schermo una disincantata interpretazione del mondo e dell'avida umanità che lo popola.
Non ci sono buoni o cattivi, c'è solo la violenza dal tono shakespeariano che gronda sulla terra come sangue dalle pagine dell'omonimo romanzo di Cormac McCarthy, da cui è tratto il film.
I fratelli Cohen con gelido tratto e asciutta regia, mostrano l'orrore della nostra civiltà. Rileggono il mito del vecchio west a loro modo: innanzitutto non vince il bene sul male, solo l'ipotesi del lieto fine agonizza brutalmente come le vittime di Chigurh, e i personaggi, al centro dell'epos distorto, si distaccano completamente dai protagonisti di Sergio Leone, perché incarnano non i "valori" ma il lato più spietato e animalesco dell'uomo.
A cominciare dal killer psicopatico con lo sguardo perso nel vuoto, personaggio crudele e quasi disumano per la sua insensibilità, ma allo stesso tempo ironico e comico in un certo senso, basti pensare alla sua caratterizzazione estetica: quale spietato killer avrebbe un così ridicolo taglio di capelli in stile paggetto e girerebbe con una ben poco maneggevole bombola d'aria?
A cominciare dal killer psicopatico con lo sguardo perso nel vuoto, personaggio crudele e quasi disumano per la sua insensibilità, ma allo stesso tempo ironico e comico in un certo senso, basti pensare alla sua caratterizzazione estetica: quale spietato killer avrebbe un così ridicolo taglio di capelli in stile paggetto e girerebbe con una ben poco maneggevole bombola d'aria?
Un grottesco strumento - ma anche vittima - del caso come è perfettamente sintetizzato nella scena in cui fa lanciare la monetina al vecchio nella stazione di servizio.
Nella risposta alla sua domanda su cosa si stia giocando, si racchiude il senso dell'esistenza dominata totalmente dal fato, che il film vuole trasmettere, dove i sentimenti positivi non trovano spazio: "ti stai giocando tutto, te lo stai giocando da quando sei nato, solo che non lo sapevi."
Il suo "doppio" è lo sceriffo, debole, inutile, incapace come lo spettatore di fare qualsiasi cosa per fermare la brutalità e l'aridità della realtà che lo circonda, in netto contrasto con la sua complessa e profonda interiorità.
Moss sta tra i due estremi.
Lo spettatore resta spiazzato, quello che si aspetta dalla storia non accade, non c'è chi vince, non c'è chi perde.
L'ambientazione e la fotografia sono oniriche, sospese. Dimensione, quella del sogno, che permea il tessuto stilistico e filosofico del film.
Moss sta tra i due estremi.
Lo spettatore resta spiazzato, quello che si aspetta dalla storia non accade, non c'è chi vince, non c'è chi perde.
L'ambientazione e la fotografia sono oniriche, sospese. Dimensione, quella del sogno, che permea il tessuto stilistico e filosofico del film.
Il tutto è una macabra marcia sulle rovine della nostra civiltà perduta, abitata da omini mossi dalle loro piccolezza e sballottati dall'onda del dio della sorte.
Resta soltanto la consapevolezza che si vive e muore in base al capriccio del caso.
Immobile e sempre uguale a sé stesso resta soltanto il paesaggio, muto e indifferente testimone della crudele avidità umana.
Trailer:
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