In una cittadina dagli squillanti colori pastello in stile soap, con abitanti dal sorriso sempre pronto e smagliante, vive Truman.
Egli è il prototipo dell'uomo senza qualità dell'era della televisione che conduce una vita routinaria senza troppe domande che lo fa muovere come un manichino su un plastico.
Ma la sua vita perfetta altro non è che un grande spettacolo televisivo orchestrato dall'emblematico regista Christof che ha strappato l'inconsapevole Truman dal ventre materno e lo ha reso la principale attrattiva di milioni di famiglie americane teledipendenti.
Una serie di flashback guidano gli spettatori nella mente dell'ignaro protagonista del reality che inizia ad affollarsi di dubbi.
Sin da bambino, ogni sua allusione al viaggiare e conoscere il mondo era stata inibita da traumi indotti, tra i quali la morte del (finto) padre in mare, che lo hanno reso un adulto pieno di paure ataviche.
Una serie di ritmiche coincidenze lo portano a coltivare il seme del dubbio sull'innaturalezza della sua esistenza, impiantatogli per la prima volta da una misteriosa ragazza portatagli via all'improvviso.
Sembra, così, scorgere all'orizzonte le sbarre della sua gabbia dorata fatta di amori ed amicizie studiate a tavolino, tra i cui gesti melliflui non mancano allusioni a prodotti da pubblicizzare.
Alla fine il logorante dubbio si trasforma in una lucida certezza che lo spinge a sfidare il suo piccolo dio televisivo.
La linea che divide il burattino dall'uomo passa attraverso una sorta di rito di iniziazione: il superamento della sua immobilizzante fobia per il mare.
Il suo anelito di libertà lascerà tutti i telespettatori, finti e non, con il fiato sospeso.
La realtà non c'è più o meglio c'è, ma non è più là dove crediamo che sia.
Infatti, dove siamo convinti vi sia la realtà, c'è solo un grande artificio televisivo.
Il film, uscito nel 1998 (quindi prima dell'impazzare dei vari Big Brother), cela una profezia su quello che sarebbe accaduto.
Il regista Peter Weir e lo sceneggiatore Andrew Nicol sembrano suggerirci che ormai nessuno più pensa quello che vede ma tutti vediamo quello che già pensiamo: se pensiamo di vivere nella realtà non vediamo gli indizi che potrebbero mettere in dubbio la nostra convinzione.
Vediamo solo quello che vogliamo vedere e non abbiamo voglia di strapparci dagli occhi l'ottenebrante Velo di Maya.
Siamo tutti protagonisti di una grande allucinazione collettiva, comoda e confortante, senza voglia di scorgere cosa c'è oltre la grotta.
Film che segna l'esordio di Jim Carrey in un ruolo drammatico: plasma il suo talento ridanciano e grottesco al servizio del pathos e della tragedia.
Per facilitargli l'immedesimazione, Peter Weir ha obbligato la troupe a non fare battute o allusioni
alle precedenti fatiche cinematografiche di Jim Faccia di Gomma.
La sua interpretazione risulta convincente in modo commovente.
Incarna quella che è un po' la nostra condizione di uomini in bilico tra il decolpevolizzante e rassicurante copione impostoci e i turbamenti ulissiaci che attanagliano il nostro animo più intimo.
Il suo sporgersi sull'abisso nero dell'ignoto ci spinge a chiederci dove sono gli spettatori che guardano la soap? Altrove o nella finzione? E noi, dove siamo?
Siamo tutti Truman e Truman è tutti noi.
Frasi dal film:
- Non troverete nulla in lui che non sia veritiero, non c'è copione, non esistono copie; non sarà sempre Shakspeare ma è autentico: è la sua vita.
- Non ti viene mai il prurito ai piedi, l'ansia di partire?
- Credo che Truman sia il primo neonato adottato da un network.
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