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12 years a slave - 12 anni schiavo: "O vince l'Oscar o siete tutti razzisti", un tema non ancora superato dalle nostre democrazie.

"Possono succedere solo due cose stanotte: o 12 anni schiavo vince l'Oscar oppure siete tutti razzisti." 


Così ha aperto la cerimonia degli Oscar Ellen Degeneres. 
Dopo Shame e Hunger, Mcqueen si cimenta in un altro tema "duro": la schiavitù, la grande macchia che insanguina la liberale e democratica America.
Basato sull'autobiografia del 1895 di Solomon Northup, il film narra, con raffinate sequenze, del passaggio del talentuoso violinista Solomon (Chiwetel Ejiofor) dalla libertà alla schiavitù in una piantagione, dove sotto ricatti e soprusi lavorerà strenuamente per 12 anni, riuscendo a liberarsi solo con l'aiuto dell'abolizionista canadese Samuel Bass (Brad Pitt, anche produttore del film).

Lo schiavismo e il razzismo, temi che hanno attraversato la storia del cinema - purtroppo ancora attuali - sono raccontati attraverso gli occhi di Solomon, un uomo nato libero che si sente un cittadino, e, di conseguenza, diverso dagli altri schiavi, che si stupisce che non lo riconoscano come uomo in quanto tale e tenta di mostrarlo fin da subito ai padroni, per poi capire che alzare la testa è troppo pericoloso e che solo l'ubbidienza evita la morte.
McQueen ci mostra la discesa di Solomon in un abisso di agonia e progressiva la perdita di dignità, ci guida in luoghi oscuri dove regna l'aberrazione che deforma i corpi martoriati degli schiavi, dove gli uomini fanno mostra della loro cattiveria e della loro innata bestialità, garantita dalla legge dei democratici States.
Agli schiavi e a Solomon viene negato fin da subito uno tra i diritti più importanti: il diritto al nome, il diritto ad avere una propria identità, quel diritto senza il quale non esistiamo sulla carta e, se non esistiamo lì, non siamo niente se non insetti sacrificabili.
L'abuso e la violenza sono leciti e non devono generare interrogativi, nessuno pensa che ciò che la legge legittima potrebbe essere ingiusto, ad esempio quando Solomon viene impiccato per aver picchiato uno schiavista e agonizza cercando appoggio al terreno, nessuno fa niente, gli uomini continuano a lavorare e i bambini a giocare.
In fondo è quello che sarebbe successo qualche anno dopo in Europa: quella che Hannah Arendt chiama la banalità del male. Turba che poco è cambiato, ad oggi.

La dura analisi realista, le fredde scene di violenza trattate quasi con distacco, senza scendere in modo eccessivo nel facile moralismo, fanno emergere sia il senso di empatia dello spettatore con il dolore di chi subisce la violenza degli schiavisti, Epps su tutti (Michael Fassbender),, sublime nell'incarnazione dell'uomo del suo tempo, instabile, violento, frustrato dal suo amore per Patsy, la sua schiava più produttiva, capace anche di attimi di compassione verso di lei, subito rimpiazzata dal ruolo che la moglie Eliza (Sarah
Paulson, sì quella di American Horror Story) gli impone di interpretare per far frustare l'odiata rivale - l'opposto del precedente padrone di Solomon William (Benedict Cumberbatch) che riconosce la sua

individualità e gli dona un violino- , sia una sorta di individualismo degli schiavi stessi nel tentativo di salvarsi: si pensi a Clemens, il primo compagno di viaggio in mare con cui Solomon concorda un aiuto quando verrà a prenderlo il suo padrone, il quale appena scende dalla nave, neppure si volta a guardare il protagonista, oppure si pensi alla scena in cui Solomon mentre si allontana, finalmente libero, dalla piantagione di Epps, non fa e può fare un fiato davanti al dolore di Patsy (Lupita Nyong'o, Miglior attrice non protagonista per la sua performance dolorosamente perfetta), lasciata indietro a sopportare i soprusi e le violenze carnali del padrone.
Non c'è il lieto fine, e come potrebbe esserci? è la semplice descrizione del mondo, di una storia, non lontana dalla nostra e neanche troppo dissimile, in cui alcuni uomini sono parificati alle bestie e privati dell'umanità da altri uomini.
12 anni schiavo è un film in cui, nonostante alla fine il protagonista riesca a tornare dalla sua famiglia, l'ingiustizia trionfa sulla giustizia, lo iato tra ciò che detta la legge e ciò che giusto rimane incolmato e ne è l'ulteriore dimostrazione il fatto che anni di lotte giudiziarie non sono riuscite a condannare Epps per aver tenuto come schiavo un uomo libero.


Il film si inserisce nel filone dei recenti film sullo stesso tema portante, come Lincoln o Django di Tarantino. A differenza di quest'ultimo, però, lo schiavismo è affrontato in modo piuttosto classico e sotto le righe rispetto i precedenti film "provocatori" del regista.
Non è, infatti, il film di McQueen che ti aspetteresti, meno originale - e certo il tema originale non è, ma perlomeno avrebbe potuto esserlo il modo in cui è raccontato - meno stressante meno asfissiante (vi ricordate la lenta agonia di Fassbender in Hunger? sembrava di sentirla addosso), ma probabilmente più fruibile per un pubblico più vasto e confezionato a puntino per l'Oscar.


Regia: Steve McQueen
Sceneggiatura: John Ridley
Fotografia: Sean Bobbitt
Musica: Hans Zimmer
Montaggio: Joe Walker
Scenografia: Adam Stockhausen e Alice Baker
Costumi: Patricia Norris
Paese e Anno: USA 2013
Durata: 134 m.

Trailer:



Premi:

Oscars 2014

- Miglior Film

-Miglior attrice non protagonista a Lupita Nyong'o
- Miglior sceneggiatura non originale a John Ridley
- Nomination Miglior regia a Steve McQueen
- Nomination Miglio attore protagonista a Chiwetel Ejiofor
- Nomination Miglior attore non protagonista a Michael Fassbender
- Nomination Miglior montaggio a Joe Walker
- Nomination Miglior scenografia a Adam Stockhausen e Alice Baker
- Nomination Miglior costumi a Patricia Norris

Golden Globes 2014

- Miglior film drammatico

BAFTA

- Miglior Film

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